15 marzo 2006
Il duello triste in cui non vince nessuno e perdono le donne

Che duello triste, grigio, noioso, rigido, incravattato. Che duello "vecchio". Che duello maschile e maschilista. Che duello democristiano: non vince nessuno, perdono solo le donne. Il premier ha detto e ripetuto che non ha trovato "signore" disponibili a venire a Roma e a lasciare la famiglia (!). Prodi ha messo insieme le solite due parole sulla presunta superiorità delle donne. Nessuno dei due ha avuto il fegato di fornire una cifra, un numeretto, uno straccio di impegno per garantire che il prossimo Governo sia più "femminile". E' l'Italia, bellezza. Neanche una donna nei penosi talk show post-duello. Neanche una a pagarla oro in questa televisione nauseabonda e putrefatta. E Maurizio Belpietro, ospite da Mario Giordano a Studio Aperto, è stato pressoché l'unico a far notare come la vera debolezza di entrambi gli sfidanti fosse stata proprio la risposta sulle donne. Belpietro, ci pensate? Non sappiamo se il duello avrebbe dovuto convincere gli indecisi. Sappiamo soltanto che la nostra metà femminile ha deciso che diserterà le urne. E sarebbe la prima volta.
| inviato da il 15/3/2006 alle 12:12 | |
14 marzo 2006
Auguri

E' molto più di un compleanno. Sono mandorli e peschi che cominciano a sbocciare, sono perle da coltivare e sfregare tra le mani, sono tragitti inediti da percorrere a occhi chiusi. Sono le candele accese in ogni chiesa, noi che non siamo credenti, mano nella mano. Per ringraziare qualcuno o qualcosa, perché ci siamo. E' quel biglietto spiegazzato a Santa Maria in Trastevere, desideri fatti carta. Soffia, soffia forte. E dammi tempo per navigare ancora.
Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto. (Nazim Hikmet)
| inviato da il 14/3/2006 alle 17:3 | |
13 marzo 2006
Navigare nel bosco

Ci sono tanti motivi per cui bisognerebbe leggere "Una barca nel bosco" di Paola Mastrocola. Proprio adesso, proprio in questo timido schiudersi di primavera, proprio in questi giorni di schiamazzi e grida, di maleducazioni e vergogne, di violenze e di detective stories da quattro soldi, di finti sorrisi e finte promesse. La ragione è semplice. "Una barca nel bosco" è un libro dedicato agli esclusi. A chi non trova punti di riferimento. A chi si sente sfigato. Agli sradicati. Ai malati. A chi ancora pensa che la scuola sia un posto dove imparare. A chi non gliene frega niente della moda. A tutti coloro che hanno subito un'ingiustizia. Ai figli dei pescatori aspiranti latinisti. A chi ama gli alberi, la loro ostinazione a salire, salire, salire. A chi, come scrive l'autrice, "ama le isole o si sente egli stesso un'isola". E' dedicato a tutte le barche che navigano nei boschi. A vista. E a testa alta. Prima o poi raggiungeremo il mare.
| inviato da il 13/3/2006 alle 14:26 | |
10 marzo 2006
Un verso per il weekend

E se un epitaffio raccontasse la mia storia ne avrei uno breve già bello pronto Vorrei che di me fosse scritto sulla pietra "Ho avuto una lite da innamorati con il mondo"
Robert Frost
| inviato da il 10/3/2006 alle 16:57 | |
9 marzo 2006
Notizie di perla

Le belle notizie sono come le perle. Corpi estranei piovuti all'improvviso dentro un'ostrica e cresciuti piano, senza fretta. Strati su strati di madreperla. Finché, all'improvviso, ce ne accorgiamo. Dalla luce. Le belle notizie sono rare come le perle vere, non coltivate. Bisogna cercare tra migliaia di ostriche per trovarne una. Le belle notizie sono lisce come le perle. Senza increspature, ombre, fori. Senza asperità. Ma sono ruvide, rivoluzionarie, perché in fondo sono accumuli di madreperla. Frammenti di gioielli scagliati distrattamente qua e là, e poi sorprendentemente concentrati per noi. Le belle notizie vanno distinte dalle imitazioni, proprio come le perle. Una volta trovate, però, vanno accarezzate, protette, esposte con orgoglio. Mai sciupate. In bocca al lupo.
Per A.
Della perla e della vita
Dentro ti deflagra il fulmine che ha fecondato la conchiglia, tu lo conservi e culli indisponente, elettrica
Grezza sei sporca, verdastra mai sfera perfetta - vai lucidata per diventare pallida
Per qualcuno sei soltanto una lacrima, l’ultimo respiro della conchiglia madre, suo fiotto e figlio, la sua assassina
Per altri sei luna di pietra piovuta in fondo al mare, riflesso argenteo fatto sasso piombato giù dal cielo
Intarsi le porte di Gerusalemme e incarni poteri divini: guai a chi ti sogna ché piangerà infelice
Io ti porto annodata intorno al collo e ti tormento come un ventaglio stropicciato
e non ho l’ardore di sotterrarti e scorniciare il petto, come se riuscissi a ricordarmi grazie a te stuprata dal mare eppure vergine
di quanto possano coincidere i contrari nella giostra su cui volo
dell’altalena esistenziale relativa su cui mi hanno spinto un giorno di febbraio per caso
senza che l’avessi chiesto.
(emmeper)
| inviato da il 9/3/2006 alle 16:41 | |
7 marzo 2006
Sparie, lentamente, in dissolvenza

Adesso e fino al 9 aprile ci piacerebbe sparire, lentamente, in dissolvenza. Allungandoci a dismisura, per esempio, come il collo di una donna di Modigliani. O rimpicciolendoci come lillipuziani, senza nessun Gulliver che venga a disturbarci. Vorremmo restare vittime di un incantesimo: smettere di ascoltare le parole, riuscire a sentire solo la musica. Classica, se possibile. La Hammerklavier di Beethoven al posto delle promesse elettorali, il terzo concerto per piano di Rachmaninov invece del Grande Fratello, i sei concerti brandeburghesi di Bach in sostituzione dei litigiosi insopportabili arroganti privi-di-talento ragazzini di Amici.
Quanto sarebbe migliore questo mondo. Via le mail, i blog, il telefono, i fax, le chat, i forum: dovremmo tornare a valutare le persone, a scegliere gli amici, a incontrare gli amori, a scegliere chi votare sulla base di ciò che fanno e non di quello che dicono o scrivono. Soltanto per un mese, per carità. Soltanto per provare a vedere che cosa succederebbe. Forse la poesia ricomincerebbe a risuonarci dentro e rifiuterebbe di restare annidata tra le pagine dei libri, come un diversivo sbiadito per manager in cerca di se stessi. Magari ci ricorderemmo di una Natura che ostinatamente resiste ai nostri agguati. Ritireremmo fuori vecchie abitudini: da quant'è che non facciamo "una passeggiata"? Non un giro di shopping, non una maratona museale, non un tour dei locali, non un massacrante week-end turistico in offerta. Proprio una passeggiata. Inutile, rilassante, distensiva. Con le mani intrecciate dietro la schiena, fischiettando.
| inviato da il 7/3/2006 alle 22:15 | |
3 marzo 2006
Un verso per il week-end
 Non respingere i sogni perché sono sogni. Tutti i sogni possono essere realtà, se il sogno non finisce. La realtà è un sogno. Se sogniamo Che la pietra è pietra, questo è la pietra. Ciò che scorre nei fiumi non è acqua, è un sognare, l’acqua, cristallina. La realtà traveste Il sogno, e dice: “Io sono il sole, i cieli, l’amore”. Ma mai si dilegua, mai passa, se fingiamo di credere che è più che un sogno. E viviamo sognandola. Sognare è il mezzo che l’anima ha Perché non le fugga mai Ciò che fuggirebbe se smettessimo Di sognare che è realtà ciò che non esiste. Muore solo Un amore che ha smesso di essere sognato Fatto materia e che si cerca sulla terra.
Pedro Salinas (da Largo lamento, Madrid, 1997)
| inviato da il 3/3/2006 alle 22:5 | |
2 marzo 2006
La replica di Ferroni, per par condicio
da Repubblica di oggi
Caro Baricco, io la recensisco ma lei non mi legge
di GIULIO FERRONI
Caro Baricco, sono davvero pentito, ma non per la battuta contro Questa storia inserita nell'articolo su l'Unità del 26 febbraio, sì invece per aver scritto più volte su di lei, senza che lei abbia avuto la condiscendenza di leggermi. Ne ho scritto nel supplemento al Novecento della Storia della letteratura italiana Garzanti, ne ho scritto nell'ultimo volume, appena uscito, della Storia e antologia della letteratura italiana (Mondadori Università e Einaudi Scuola), e ho addirittura recensito (nel numero di dicembre della nuova rivista Giudizio Universale) il romanzo automobilistico Questa storia, che lei mi rimprovera letteralmente di non aver recensito.
Qui la differenza è grande: io la leggo, ahimè, senza ricavarne molto, e lei non legge me e ne ottiene un successo planetario. Se le sue emozioni e seduzioni invadono ogni angolo della terra, diffondendo quel virus apocalittico, quell'avvento dell'impensato con cui Citati e Ferroni dovrebbero confrontarsi, ciò vale certamente come un trionfo del made in Italy e dell'azienda Italia: ma non mi pare un trionfo della letteratura.
Certo la letteratura è passione, emergenza dell'imprevisto, conoscenza in profondità di ciò che non si vede: la sua mi sembra invece una letteratura patinata, proiettata sull'orizzonte di una trasgressione pubblicitaria, tra moda e sport... Il "campo aperto del futuro", che lei oppone a chi indugia a frequentare le "mappe di un vecchio mondo", non viene in realtà nemmeno sfiorato dalla "seduzione" mediatica che promana da quella sua scrittura così disinvolta, accattivante, appunto "sportiva".
Siamo proprio lontani da quell'abietto ma sconvolgente Truman Capote a cui è dedicato il film che lei è andato a vedere invece di Lazio-Roma: io ho visto sia il film che la partita e ne sono uscito doppiamente depresso (anche in quanto laziale).
Ma le garantisco che ulteriore motivo di depressione è stato per me sapere che in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico della mia università si è esibito il degnissimo cantante Claudio Baglioni, ma non per cantare, sì invece per leggere brani di Aristotele e del suo Novecento: lo vede che le parole dei critici non contano nulla, nemmeno nelle università dove essi insegnano, e i rettori affidano le scelte culturali a ben diversi soggetti? E allora che se ne può fare di recensioni che del resto nemmeno ha il tempo di leggere? Contrito, le prometto che non recensirò i suoi futuri romanzi, e semmai mi limiterò a qualche frecciatina da "primo che passa".
Un saluto cordiale.
(2 marzo 2006)
| inviato da il 2/3/2006 alle 14:13 | |
1 marzo 2006
Secondo noi ha ragione lui...
... e secondo voi?
Da Repubblica di oggi
Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura
di ALESSANDRO BARICCO
QUESTO è un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. La scorsa settimana, su queste pagine, esce un articolo di Pietro Citati. Racconta quanto lo ha deliziato mettersi davanti al televisore e vedere i pattinatori-ballerini delle Olimpiadi. Lo deliziava a tal punto - scrive - che "dimenticavo tutto: le noie, le mediocrità, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino "l'Iliade" di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusità dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio". Io ero lì, innocente, che mi leggevo con piacere l'esercizio di stile sull'argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata. Va be', dico. E, giusto per mite rivalsa, lascio l'articolo e vado a leggermi l'Audisio.
Qualche giorno dopo, però, vedo sull'Unità un lungo articolo di Giulio Ferroni sull'ultimo libro di Vassalli. Bene, mi dico. Perché mi interessa sapere cosa fa Vassalli. Malauguratamente, alcuni dei racconti che ha scritto sono sul rapporto tra gli uomini e l'automobile.
Mentre leggevo la recensione sentivo che finivamo pericolosamente in area "Questa storia" (il mio ultimo romanzo, che parla anche di automobili). Con lo stato d'animo dell'agnello a Pasqua vado avanti temendo il peggio. E infatti, puntuale, quel che mi aspettavo arriva. Al termine di una lunghissima frase in cui si tessono (credo giustamente) elogi a Vassalli, arriva una bella parentesi. Neanche una frase, giusto una parentesi. Dice così: "Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell'ultimo Baricco!". E voilà. Con tanto di punto esclamativo.
Ora, nessuno è tenuto a saperlo, ma Citati e Ferroni sono, per il loro curriculum e per altre ragioni per me più imperscrutabili, due dei più alti e autorevoli critici letterari del nostro paese. Sono due mandarini della nostra cultura. Per la cronaca, Citati non ha mai recensito la mia "Iliade", e Ferroni non ha mai recensito "Questa storia". Il loro alto contributo critico sui miei due ultimi libri è racchiuso nelle due frasette che avete appena letto, seminate a infarcire articoli che non hanno niente a che vedere con me.
È un modo di fare che conosco bene, e che è piuttosto diffuso, tra i mandarini. Si aggirano nel salotto letterario, incantando il loro uditorio con la raffinatezza delle loro chiacchiere, e poi, con un'aria un po' infastidita, lasciano cadere lì che lo champagne che stanno bevendo sa di piedi. Risatine complici dell'uditorio, deliziato. Io sarei lo champagne.
Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non è vero. Mi ferisce poco la gomitata assestata a tradimento, ma mi offende molto il fatto che sia tutto ciò di cui sono capaci. Mi sorprende il loro sistematico sottrarsi al confronto aperto. La critica è il loro mestiere, santo iddio, che la facciano. Cosa sono queste battutine trasversali messe lì per raccogliere l'applauso ottuso dei fedelissimi? Vi fa schifo che uno adatti l'Iliade per una lettura pubblica e lo faccia in quel modo? Forse è il caso di dirlo in maniera un po' più argomentata e profonda, chissà che ci scappi una riflessione utile sul nostro rapporto con il passato, chissà che non vi balugini l'idea che una nuova civiltà sta arrivando, in cui l'uso del passato non avrà niente a che fare con il vostro collezionismo raffinato e inutile.
E se trovate così stucchevole un libro che centinaia di migliaia di italiani si affrettano a leggere, e decine di paesi nel mondo si prendono la briga di tradurre, forse è il caso di darsi da fare per spiegare a tutta questa massa di fessi che si stanno sbagliando, e che la letteratura è un'altra cosa, e che a forza di dare ascolto a gente come me si finirà tutti in un mondo di illetterati dominati dal cinema e dalla televisione, un mondo in cui intelligenze come quelle di Citati e Ferroni faranno fatica a trovare uno stipendio per campare.
Si dirà che è un diritto dei critici scegliersi i libri di cui scrivere. E che anche il silenzio è un giudizio. E' vero. Ma non è completamente vero. Lo so che per persone intelligenti e colte come Citati e Ferroni i miei libri stanno alla letteratura come il fast-food alla cucina francese, o come la pornografia all'erotismo. Per usare una frase di Vonnegut che mi fa sempre tanto ridere, mi sa che per loro i miei libri, nel loro piccolo, stanno facendo alla letteratura quello che l'Unione Sovietica ha fatto alla democrazia (non si riferiva a me, Vonnegut, che purtroppo non sa nemmeno che esisto).
Ma quale arroganza intellettuale può indurre a pensare che non sia utile capire una degenerazione del genere, e magari spiegarla a chi non ha gli strumenti per comprenderla? Come si fa a non intuire che magari i miei libri sono poca cosa, ma lì i lettori ci trovano qualcosa che allude a un'idea differente di libro, di narrazione scritta, di emozione della lettura? Perché non provate a pensare che esattamente quello - una nuova, sgradevole, discutibile idea di piacere letterario - è il virus che è già in circolo nel sistema sanguigno dei lettori, e che magari molta gente avrebbe bisogno da voi che gli spiegaste cos'è questo impensabile che sta arrivando, e questa apparente apocalisse che li sta seducendo?
Non sarà per caso che la riflessione nel campo aperto del futuro vi impaurisce, e che preferite raccogliere consensi declinando da maestri mappe di un vecchio mondo che ormai conosciamo a memoria, rifiutandovi di prendere atto che altri mondi sono stati scoperti, e la gente già ci sta vivendo? Se quei mondi vi fanno ribrezzo, e la migrazione massiccia verso di loro vi scandalizza, non sarebbe esattamente vostro degnissimo compito il dirlo? Ma dirlo con l'intelligenza e la sapienza che la gente vi riconosce, non con quelle battutine, please.
Per quello che ne capisco, i miei libri saranno presto dimenticati, e andrà già bene se rimarrà qualche memoria di loro per i film che ci avranno girato su. Così va il mondo. E comunque, lo so, i grandi scrittori, oggi, sono altri. Ma ho abbastanza libri e lettori alle spalle per poter pretendere dalla critica la semplice osservanza di comportamenti civili. Lo dico nel modo più semplice e mite possibile: o avete il coraggio e la capacità di occuparvi seriamente dei miei libri o lasciateli perdere e tacete. Le battute da applauso non fanno fare una bella figura a me, ma neanche a voi. Ecco fatto. Quel che avevo da dire l'ho detto.
Adesso vi dico cosa avrei dovuto fare, secondo il galateo perverso del mio mondo, invece che scrivere questo articolo. Avrei dovuto stare zitto (magari distraendomi un po' ripassando il mio estratto conto, come sempre mi suggerisce, in occasioni come queste, qualche giovane scrittore meno fortunato di me), e lasciar passare un po' di tempo. Poi un giorno, magari facendo un reportage su, che ne so, il Kansas, staccare lì una frasetta tipo "questi rettilinei nella pianura, interminabili e pallosi come un articolo di Citati". Il mio pubblico avrebbe gradito. Poi, un mesetto dopo, che so, andavo a vedere la finale di baseball negli Stati Uniti, e avrei sicuramente trovato il modo di chiosare, in margine, che lì si beve solo birra analcolica, "triste e inutile come una recensione di Ferroni". Risatine compiacenti. Pari e patta. E' così che si fa da noi. Pensate che animali siamo, noi intellettuali, e che raffinata lotta per la vita affrontiamo ogni giorno nella dorata giungla delle lettere...
Purtroppo però non è andata così. Il fatto è che l'altro giorno ho visto il film su Truman Capote. Si impara sempre qualcosa spiando i veri grandi. Lui in quel film è così orrendo, spregevole, sbagliato, megalomane, imprudente, indifendibile. Mi ha ricordato una cosa, che talvolta insegno perfino a scuola, e che però mi ostino a dimenticare. Che il nostro mestiere è, innanzitutto, un fatto di passione, cieca, maleducata, aggressiva e vergognosa. Posa su una autostima delirante, e su un'incondizionata prevalenza del talento sulla ragionevolezza e sulle belle maniere. Se perdi quella prossimità al nocciolo sporco del tuo gesto, hai perso tutto. Scriverai solo cosette buone per una recensione di Ferroni (no, scherzo, davvero, è uno scherzo). Scriverai solo cosette che non faranno male a nessuno.
Insomma è tutta colpa di quel film su Truman Capote. D'improvviso mi è sembrato così falso starmene lì, come una bella statuina, a prendere sberle dal primo che passa. E' una cosa che non c'entra niente col mestiere che è il mio. Vedi, se me ne stavo a casa a vedere Lazio-Roma, oggi eravamo tutti più sereni e tranquilli. E penosi, of course.
| inviato da il 1/3/2006 alle 17:50 | |
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